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Se sei maggiorenne, non avrai bisogno di scavare a fondo nel cassetto dei ricordi per capire di cosa si stia parlando. Correva l’anno 1999 quando due semplici parole innescarono una psicosi collettiva: Millennium Bug. L’arrivo della mezzanotte del 31 dicembre venne vissuto con malcelata preoccupazione dai miliardi di possessori di un personal computer. Un’ansia ingiustificata che trovò la sua (ir)realizzazione non appena compiuto il fatidico salto nel terzo millennio. I sistemi di elaborazione dati avevano tenuto botta e l’allarmismo, irradiato dai media, non aveva trovato giustificazione. Se però la tua memoria è offuscata oppure talmente fresca da non aver vissuto quell’episodio, allora si impone un ripasso. Cosa si intende quando si parla di bug informatico e a cosa si deve il suo nome?
Un bug informatico è un errore nella scrittura del codice sorgente, scritto da un programmatore, di un programma software. Meno comunemente è un difetto di progettazione in una periferica hardware. Gli errori di programmazione più diffusi sono quelli di sintassi, di logica o di runtime, ovvero quelli che si verificano nella fase di esecuzione del programma.
Il bug (o baco, in italiano) limita fortemente le operazioni del dispositivo e può mandare in tilt l’intera macchina. Nel caso del Millennium Bug, ad esempio, si riteneva che diversi software sviluppati nel corso del ventesimo secolo utilizzassero soltanto due cifre decimali per memorizzare l’anno, comprendendo valori tra 00 e 99 e dando come base di partenza l’anno 1900. Uno scenario che rendeva difficile prevedere l’impatto della cifra 2000 sui dispositivi. Per “prevenire” i bug, sui comuni device, basta spesso scaricare gli aggiornamenti previsti dal sistema operativo.
Bug significa letteralmente “baco” o “piccolo insetto”. In ambito informatico l’utilizzo dell’etichetta risale a molto prima del famigerato e sopra citato Millennium Bug.
Già nel corso del diciannovesimo secolo, e più precisamente nel 1878, Thomas Edison, imprenditore statunitense noto per l’invenzione della lampadina, introdusse il termine per descrivere i difetti rintracciati nelle sue creazioni.
Durante il ventesimo secolo fu invece il tenente della Marina degli Stati Uniti, Grace Hopper, a riportarlo in auge, individuando nella presenza di una falena incastrata tra i circuiti la causa del mancato funzionamento del Mark II, il computer elettromeccanico in dotazione al suo equipaggio: “Primo caso reale di ritrovamento di un bug”, scrisse sul diario di bordo “allegando” il corpo del reato. In quella che resta l’unica testimonianza reale del più virtuale degli spauracchi tecnologici.