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Come cambia l’amicizia nell’era dei social network? Le relazioni sociali tendono a diventare più intense e genuine, o è piuttosto vero il contrario? Una domanda, questa, che di tanto in tanto torna a far discutere, alimentando conversazioni più o meno scientifiche in merito alla tendenza dell’essere umano alla socialità e ai fattori che possono influenzarla.
In un mondo dominato da Facebook e da amicizie strette attraverso richieste di contatto, la domanda, in fondo, è sempre la stessa: quante persone possiamo realmente investire della qualifica di “amico”? Perché questo ruolo non possono ricoprirlo tutte le persone con cui ci capita di entrare in contatto nel corso della vita – su questo siamo tutti d’accordo, no? Gli amici veri sono quelli con cui si condividono più o meno abitualmente – nella vita di tutti i giorni, quella reale – emozioni positive e negative!
Stando a questa semplice definizione, una ricerca svolta di recente da studiosi dell’Università di Oxford rivela che i best friend possono essere al massimo 5 e, soprattutto, che nella loro “coltivazione” Facebook non gioca esattamente un gran ruolo.
Uno dei ricercatori impegnati nell’indagine condotta sulle cerchie sociali e la sfera dell’amicizia, e sull’influenza delle tecnologie informatiche al loro interno, è Robin Dunbar, antropologo e psicologo britannico noto per aver teorizzato negli anni ’90 il numero medio di relazioni che il nostro “cervello sociale” è in grado di mantenere: 150.
Dunbar ha condotto il recente studio in collaborazione con altri due studiosi di Oxford, Pádraig MacCarron e Kimmo Kaski, proprio per confermare la sua ben nota teoria – originata all’epoca dall’analisi del grooming nei primati, cioè la cura del pelo che questi si riservano reciprocamente. Stavolta il ricercatore inglese ha preso in esame 6 miliardi di telefonate realizzate da 35 milioni di persone e la loro frequenza – numeri impressionanti, che attestano il fatto che 150 è il numero massimo di relazioni gestibili da ognuno di noi.
La realtà, infatti, è più complessa: le nostre cerchie sociali sono gerarchizzate, possono essere paragonate a sfere concentriche che, via via che aumentano di ampiezza e numero di contatti al loro interno, si allontanano da noi, in senso fisico ed emotivo. La sfera più vicina a noi contiene 5 best friend, quella successiva 15, poi 50 e l’ultima, infine, tutte le nostre altre conoscenze.
Per spiegare questo concetto, Dunbar parla di “capitale sociale” come dell’intensità e del tempo che dedichiamo alle relazioni che intratteniamo: la quantità di capitale sociale di cui ognuno dispone è fissa e, se aumenta il numero di conoscenze, diminuisce proporzionalmente la porzione di capitale che riusciremo a dedicare a ciascuno.
In questo scenario, Facebook, Twitter, Instagram, LinkedIn e tutti gli altri social network dove si collocano? Come agiscono? La loro funzione, secondo Dunbar, è semplicemente quella di “facilitatori sociali”. Anche altri studiosi lo confermano – uno fra tutti, Morten Hansens dell’Università della California: i social hanno contribuito ad un allargamento delle nostre cerchie come mai nessun altro medium prima aveva fatto.
Ma ciò non significa che i “nuovi ammessi” siano tutti automaticamente best friend, al contrario. Una cosa infatti sono i contatti digitali, un’altra gli amici che si frequentano e con cui si condivide la vita reale. I social servono, in pratica, a ricordare persone che altrimenti avremmo dimenticato e a tenerle sempre lì, come parte “silenziosa” della nostra vita.
Il rischio di un simile processo è, però, che in questo allargamento potenzialmente infinito di contatti si riduca gradualmente anche il capitale sociale che riserviamo a quei 5 preziosi best friend. Tempo ed energie da dedicare agli amici veri diminuiranno, e a questo contribuirà sempre più l’illusione procurataci dal digitale di poter mantenere vive le relazioni con loro per mezzo di un semplice messaggio o un ancor più banale like.
Per dare una risposta alla domanda iniziale, insomma, nell’era dei social network l’animale che è in noi sembra destinato ad essere sempre meno sociale.